Non è dovuta la TARI per le superfici su cui si esercita attività industriale
I luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale vanno considerate estranee alla superficie tassabile da computare per il calcolo della tassa. Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione in concomitanza della Sentenza n°4412 del 23/02/2018. L’orientamento assunto dai Giudici di Palazzaccio trova la sua ratio nell’applicazione del principio normativo disposto ratione temporis dall’art.62, comma 3 del previgente D.lgs.n°507/1992 già palesato dai Giudici di Legittimità in altre pronunce (Cass. Ord.17293/2017) secondo cui dalla superficie tassabile deve essere sottratta quella parte di superficie ove si formano di regola rifiuti speciali, dovendosi intendere tali anche quelli derivanti da lavorazioni industriali.
Il presente articolo prendendo spunto proprio dalla pronuncia in commento focalizza la problematica relativa alla non tassabilità ai fini TARSU delle superfici su cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili agli urbani in ordine ai quali sussistono non pochi dubbi anche in regime di TARI in vigenza della L.n°147/2013 art.1 comma 649.
Il caso:
La questione impositiva posta al vaglio dei Giudici di legittimità rinviene dalla opposizione ad una cartella di pagamento TARSU emessa nell’interesse di un comune della provincia di Milano. La società ricorrente facendo seguito al deposito della sentenza della CTR eccepiva la violazione o falsa applicazione dell’art.2909 c.c. nonché dell’art.60 comma 3 del D.lgs.n°507/1993 per non avere il giudice tributario di appello accertato la natura industriale dell’attività posta in essere dalla società ricorrente e che pertanto, gran parte della superficie interessata dalla lavorazione di legname era esente dal pagamento della tassa poichè non computabile ai fini della tassazione comunale.
Con il terzo motivo di ricorso la società lamentava ai sensi dell’art.360 comma 1 n°3 e 5) la violazione dell’art.62 comma 3 del ridetto D.lgs.n°507/1993 nonché l’omessa considerazione di risultanze istruttorie decisive avendo già la CTR Campania con la sentenza n°172/46/08 passata in giudicato accertato la natura industriale dell’attività posta in esser dalla società in questione.
I giudici di Palazzaccio hanno ritenuto fondati entrambi i motivi di doglianza esposti da parte ricorrente.
-La Sentenza N°4412 del 23/02/2017 della Suprema Corte di Cassazione. Applicazione dell’art.62 comma 3 del D.lgs.n°507/1993 ratione temporis:
L’orientamento palesato dai Giudici di Legittimità rinviene dall’applicazione tassativa dell’art.62 comma 3 del D.lgs.n°507/1993 vigente in regime di TARSU in cui è espressamente disposto che in tema di tassa rifiuti solidi urbani (TARSU), ai sensi del D.lgs.n°507/1993, art.62 applicabile ratione temporis, nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di esse ove si formano di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini delle determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta.
Infatti, su tale disciplina non ha inciso la L.n°146/1994, art.39 il quale nell’abrogare il più volte richiamato D.lgs.n°507/1993, art.60 non ha assimilato ope legis tutti i rifiuti (esclusi quelli speciali, tossici e nocivi) a quelli urbani limitandosi pertanto ad escludere la necessità di un provvedimento comunale di assimilazione per tutti quei rifiuti già contemplati dalla norma abrogata.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione adita ha accertato la natura industriale dei rifiuti prodotti sulla superficie interessata riconducibili proprio all’attività svolta su di essa dalla società contribuente classificandoli pertanto rifiuti speciali non assimilabili agli urbani da parte del’ente impositore.
E’ questo un dato emerso già nel giudizio di appello in concomitanza del quale la CTR adita ha chiaramente accertato la natura industriale dell’attività svolta dalla società ricorrente; per cui, i rifiuti legnosi prodotti dalla società hanno secondo i Giudici di Palazzaccio natura industriale e pertanto carattere speciale e quindi non sono assimilabili ai rifiuti urbani. Ne deriva, la non tassabilità di quella parte di superficie dove viene espletata la ridetta lavorazione industriale.
E’ questo un principio normativo confermato anche in regime di TARI dall’art.1, comma 649 della L.n°147/2013 in cui è espressamente disposta la non tassabilità di quella parte di superficie su cui “in via continuativa e prevalente”(in sostituzione del termine “di regola”) si formano rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.
Dal confronto testuale della normativa previgente contenuta nel D.lgs.n°507/1993 e quella attuale in materia di TARI disposta dal già richiamato art.1 comma 649 della L.n°147/2013 appare chiara ad avviso di chi scrive, la volontà del legislatore di volere potenziare la funzione regolamentare dei comuni in ordine alla quantità e qualità di rifiuti speciali assimilabili agli urbani, per i quali può essere disposta la non tassazione della superficie su cui gli stessi si producono.
L’attuale regime normativo TARI subordina l’esenzione della superficie (potenzialmente tassabile) alla formazione continuativa e prevalente di rifiuti speciali al cui smaltimento devono necessariamente provvedere a proprie spese i relativi produttori; è pacifico che con riferimento a tale assunto richiesto dalla norma l’onere della prova incombe sul contribuente a beneficio del quale andrebbe l’esenzione dal pagamento del tributo.