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È reato la vendita di beni di proprietà in pendenza di una procedura di riscossione coattiva

La cessione di immobili di proprietà da parte del contribuente in pendenza di una procedura di recupero coattivo da parte dell’Amministrazione finanziaria configura il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. E’ quanto ha precisato la Corte di Cassazione in concomitanza della Sentenza n°40442 del 12 settembre 2018. I giudici di Palazzaccio hanno confermato la bontà del giudicato espresso dalla Corte di Appello dell’Aquila che in sede di gravame aveva affermato che la vendita di beni immobili di proprietà da parte del contribuente avvenuta volutamente a ridosso del ricevimento dell’ennesima cartella di pagamento a cui avrebbe fatto seguito l’azione di recupero coattivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, configura inevitabilmente una condotta penalmente rilevante a carico del venditore. Se vogliamo, si tratta di una pronuncia che per certi versi si uniforma in senso logico a quanto già espresso dagli Ermellini in concomitanza dell’Ordinanza n°8881 depositata il 11/04/2018 in cui i giudici di Palazzaccio hanno fatto salva la possibilità di intaccare a discapito del contribuente fondi patrimoniali realizzati ben prima dell’insorgere del debito.

 


-Il parere espresso dalla Corte di Appello dell’Aquila: sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

In sede di gravame la Corte di Appello dell’Aquila partendo da una attenta analisi dei fatti ha disposto che nel caso di specie la volontà del contribuente di dismettere una parte consistente del suo patrimonio immobiliare al solo fine di evitare l’esecuzione coattiva già in itinere da parte dell’Amministrazione finanziaria, rinviene dalla coesistenza di tre condizioni che nel caso di specie non potevano essere ignorate: 1) il fatto che il contribuente si era liberato volutamente di quasi tutti i beni di proprietà considerando che quelli rimasti intestati a lui erano di modestissimo valore; 2) dal fatto che era emersa la necessità della società acquirente i ridetti immobili di acquistare un capannone industriale nonché diversi terreni da destinare ad uso agricolo; 3) i tempi di realizzazione della vendita immobiliare erano evidentemente sintomatici della finalità illecita perseguita dal venditore.

Alla coesistenza delle condizioni sopra richiamate oggettivamente acclarate dal giudicante in sede di gravame si aggiunge il fatto che è stato accertato che nel caso di specie l’alienazione di gran parte del patrimonio immobiliare di proprietà del contribuente è stata concretizzata allorquando il debitore era già perfettamente consapevole della possibilità che fosse azionata a suo carico una procedura di recupero coattivo, avendo il medesimo già ricevuto ex ante richieste di pagamento previa notifica di cartelle di pagamento.

Pertanto, la condotta penalmente rilevante assunta dal venditore nella casistica in esame è stata concretizzata nella vigenza della fattispecie incriminatrice di cui all’art.11 del D.-lgs.n°74/2000 poiché il fatto di reato si è perfezionato con il compimento di una condotta commissiva che consiste alternativamente nell’eseguire atti simulati di vendita oppure nel realizzare altri atti fraudolenti sia sui propri beni sia su quelli di proprietà altrui finalizzati unicamente a vanificare in tutto o in parte eventuali o meglio più che probabili procedure di riscossione coattiva intraprese dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto, il momento di realizzazione del reato, una volta integrata la soglia di punibilità, coincide con la realizzazione degli atti di alienazione del proprio patrimonio dismessi con il preciso intento di rendere vana qualsiasi azione di recupero coattivo intrapresa dall’ente creditore. E’ stato questo, l’iter logico-giuridico espresso dalla Corte di Appello dell’Aquila in sede di gravame; orientamento giurisprudenziale avvallato in sede di legittimità dai Giudici di Palazzaccio.

 

Il D.lgs.n°74/2000, art.11 e la condotta penalmente rilevante in caso di vendita immobiliare in pendenza di una procedura esecutiva:

Con riferimento alla casistica di cui ci si occupa, rileva segnalare che il reato previsto dal più volte richiamato art.11 del D.lgs. 10 marzo 2000, n°74 va definito come un reato di pericolo che in quanto tale richiede il compimento di atti simulati o fraudolenti finalizzati a occultare volutamente i propri beni o i beni di proprietà altrui, al solo fine di sottrarsi al pagamento dei debito tributario o patrimoniale.

In altre parole, deve trattarsi di atti concreti idonei in base ad un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza del patrimonio del contribuente in stretto rapporto alla pretesa erariale finalizzata a rendere inefficace in tutto o in parte l’attività di recupero attivata dall’Amministrazione finanziaria, prescindendo dalla sussistenza di una esecuzione forzata esattoriale in atto.

Del resto, il reato disciplinato dall’art.11 del più volte richiamato D.lgs.n°74/2000 è caratterizzato dal dolo specifico configurabile in tutti i casi in cui l’alienazione simulata o il compimento di altri atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva sono espressamente finalizzati alla sottrazione rispetto al pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; ovvero, di interessi o sanzioni amministrative riferite alla ridette imposte.

 

Considerazioni conclusive:

L’orientamento assunto dalla Corte di Appello dell’Aquila avvallato in sede di legittimità dagli Ermellini in concomitanza della sentenza N°40442 del 12 settembre 2018 deve  sicuramente indurre il contribuente- debitore alla cautela, allorquando, l’Amministrazione finanziaria ha  già intrapreso azioni di recupero coattivo finalizzate al soddisfo del credito tributario. In altre parole, è preclusa al contribuente su cui grava un debito di natura tributaria o anche patrimoniale concretizzare atti di alienazione di beni mobili o  immobili  di proprietà, al solo fine di sottrarli a possibili o imminenti azioni di recupero coattive intraprese dall’ente creditore.  Diversamente, sarà configurabile a carico del contribuente alienante il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, configurandosi nel caso di specie una condotta penalmente rilevante tale da legittimare l’applicazione dell’art.11 del D.lgs.n°74/2000.

Il principio giurisprudenziale espresso dalla Corte di Appello e avvallato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in esame  se vogliamo è in sintonia con un’altra pronuncia della stessa Corte di cassazione (Cass. Ord. n°8881 del 11/04/2018)  in concomitanza della quale i giudici di Palazzaccio hanno fatto salva la possibilità per l’Amministrazione finanziaria procedente di intaccare fondi patrimoniali costituiti dal contribuente ben prima dell’insorgere del debito tributario o patrimoniale.

Nel caso di specie, il  fondo patrimoniale ipotecato era stato costituito dal debitore  ben venti anni prima rispetto alla nascita del debito sopravvenuto. Per cui, le ragioni specifiche che hanno generato l’obbligazione tributaria a cui è strettamente subordinata la posizione debitoria, per i Giudici di legittimità prevalgono rispetto al tempus in cui il fondo patrimoniale risulta costituito.  Si tratta di una pronuncia  che non ha mancato di avere riflessi concreti ed immediati anche su quelle situazioni patrimoniali pregresse  considerate non più “tutelabili” o meglio da ritenere tutelate in caso di debiti  tributari o patrimoniali sopravvenuti.

In considerazione del principio espresso dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza sopra richiamata (Ord. n°8881 del 11/04/2018) figuriamoci, se possa passare inosservata l’alienazione di beni propri o altrui in pendenza di una procedura esecutiva o, comunque a ridosso della notifica di una o più cartelle di pagamento a cui di lì a poco dovrà necessariamente fare seguito l’inizio di un procedura  di riscossione coattiva finalizzata al soddisfo del credito tributario o patrimoniale per cui si procede.