Paga i danni l’Agenzia delle Entrate che non informa correttamente il contribuente
E’ quanto ha disposto la Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza n°23163 del 22 settembre 2018. In particolare, i Giudici di Palazzaccio hanno disposto l’obbligo a carico dell’Agenzia delle Entrate di risarcire il danno rinveniente dalla violazione degli obblighi di correttezza e collaborazione secondo un canone comportamentale di buona fede che deve caratterizzare l’attività della pubblica amministrazione omettendo di informare il contribuente in ordine alla necessità di dotarsi di ulteriore documentazione richiesta, finalizzata ad usufruire di agevolazioni, evitando l’irrogazione di sanzioni dovute all’omesso versamento dell’imposta ordinaria. Si tratta di un principio giurisprudenziale che fa salva la disposizione normativa contenuta nella L.n°212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente) che impone all’A.F. l’obbligo di chiarezza e trasparenza degli atti amministrativi oltre che un comportamento che faccia salvi gli obblighi di correttezza e collaborazione dell’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente. Si tratta di una pronuncia singolare poiché nel caso di specie i Giudici di Legittimità hanno riconosciuto l’omissione dell’Ufficio da cui è scaturita l’emissione dell’avviso di liquidazione della maggiore tassazione richiesta al contribuente. Essendosi preclusa irrimediabilmente per il contribuente la possibilità di utilizzo del beneficio fiscale, lo stesso previa azione giudiziale innanzi al Giudice ordinario ha richiesto il risarcimento del danno da imputare a carico dell’A.F. rinveniente dalla richiesta di pagamento della maggiore somma a titolo d’imposta sul valore dichiarato intimata con l’avviso di liquidazione.
-L’obbligo di chiarezza e trasparenza degli atti amministrativi oltre che di collaborazione e buona fede con il contribuente previsti dalla L.n°212/2000 (Statuto dei Diritti del Contribuente):
In ambito fiscale, si avverte sempre di più l’esigenza di migliorare il cosiddetto “rapporto giuridico d’imposta”, ossia l’interfaccia fiscale tra il contribuente destinatario della pretesa impositiva e l’amministrazione finanziaria quale ente impositore nonché soggetto attivo d’imposta.
Ad avviso di chi scrive, non è un caso che la tax compliance, modello di strategia fiscale in ordine all’adempimento spontaneo del contribuente attuabile attraverso un elevato grado di collaborazione rappresenta oggi uno degli obbiettivi istituzionali verso cui è diretta l’azione dell’amministrazione finanziaria. Proprio in quest’ottica si innesta il problema del rapporto di collaborazione e buona fede tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, incentrando l’attenzione nel verificare se quest’ultima deve esercitare il potere impositivo osservando il principio generale di buona fede senza pregiudicare il rapporto di fiducia e buona fede nei confronti del contribuente quale soggetto passivo d’imposta.
Generalmente, quando si parla di buona fede in senso “oggettivo” si intende l’obbligo di correttezza in forza del quale l’amministrazione finanziaria deve comportarsi con lealtà e trasparenza facilitando il più possibile il contribuente nell’adempimento dei propri doveri fiscali. Deve intendersi, ancora l’obbligo di non venire contra factum proprium, ossia di comportarsi in modo coerente e non contraddittorio rispetto all’orientamento precedente assunto dalla stessa amministrazione finanziaria.
Pertanto, il principio generale di buona fede cosiddetta “oggettiva” desumibile dai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento di cui all’art.97 Cost. nonché di solidarietà di cui all’art.2 Cost. trova la sua massima attuazione nella tutela dell’affidamento del contribuente il quale può e deve necessariamente confidare nel fatto che l’amministrazione finanziaria assuma nel rapporto giuridico d’imposta un comportamento sempre consono alla correttezza e alla coerenza rispetto al contribuente destinatario della pretesa impositiva.
La Carta dei Diritti del contribuente meglio nota come Statuto del contribuente ex L.n°212/2000 ha qualificato la buona fede come principio generale al quale l’amministrazione finanziaria da una parte e il contribuente dall’altra devono ispirarsi nella concretizzazione del rapporto tributario assicurandosi reciprocamente un costante e concreto rapporto di collaborazione, soprattutto, nella fase istruttoria e pre-accertativa. Sempre la L.n°212/2000 (Statuto dei Diritti del contribuente) ha introdotto la nuova scusante dell’affidamento espressamente prevista dalla previsione normativa di cui all’art.10, comma 2 della L.n°212/2000: “Non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall’amministrazione medesima”.
-Il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nell’Ordinanza n°23163 del 22 settembre 2018
Nella pronuncia in commento i Giudici di Palazzaccio evidenziano una indubbia responsabilità dell’Amministrazione finanziaria che nel caso di specie avrebbe dovuto porre maggiore attenzione al livello di informativa da fornire all’utente in ordine agli adempimenti da porre in essere per beneficiare dei benefici fiscali previsti ex lege dalla normativa di settore, integrando l’atto presentato con le indicazioni mancanti. Tale inerzia da parte dell’ufficio ha legittimato sia pure ex post la notifica dell’avviso di liquidazione a carico dell’utente con una richiesta di pagamento di euro 39.538,43 a titolo di differenza d’imposta dovuta sulla base del valore dichiarato. Pertanto, è di tutta evidenza secondo i Giudici di Legittimità l’inerzia dell’Agenzia delle entrate nel non avere informato il contribuente in ordine agli adempimenti specifici da porre in essere per beneficiare dei vantaggi fiscali usufruibili nel caso de qua. In altre parole, la Suprema Corte adita ha riconosciuto la violazione da parte dell’A.F. degli obblighi di correttezza e collaborazione secondo un canone comportamentale che esige chiarezza e buona fede che deve caratterizzare sempre e comunque il modus operandi della Pubblica Amministrazione secondo quanto disposto dalla Carta dei Diritti del contribuente espressamente disciplinata dalla più volte richiamata l.n°212/2000 (Statuto del contribuente).
In particolare, i Giudici di Legittimità hanno rilevato che al momento della registrazione della scrittura privata, il contraente aveva reso evidente la qualità di coltivatore diretto omettendo però allo stesso i benefici fiscali ottenibili dalla ridetta qualifica. Pertanto, il giudicato posto dalla Corte di Cassazione ha posto l’accento sul fatto che l’amministrazione finanziaria ha responsabilmente omesso importanti informazioni al contribuente che lo avrebbero messo nelle condizioni di beneficiare di tutte le agevolazioni fiscali previste ex lege.
In altre parole, l’ufficio impositore non potendo chiedere al contribuente la modifica di un atto ormai divenuto definitivo, avrebbe dovuto necessariamente e opportunamente informarlo della necessita di dotarsi di ulteriore documentazione (certificato o attestazione provvisoria dell’Ispettorato), al fine di
potere beneficiare delle agevolazioni fiscali previste ex lege, evitando così l’irrogazione a suo carico della sanzione per omesso versamento dell’imposta ordinaria comunque dovuta.
Nel caso di cui ci si occupa, la controversia non ha tuttavia ad oggetto il diritto del contribuente alle richiamate agevolazioni, vale a dire non riguarda la questione di merito, bensì il diritto ad ottenere un’informazione completa dall’amministrazione finanziaria.
Diversamente, l’ufficio impositore ha richiesto al contribuente un dato assolutamente irrilevante, ossia, la dichiarazione sul valore dell’atto provvedendo a tassarlo in misura agevolata, pur in assenza delle condizioni previste ex lege, alimentando così nel contribuente un’aspettativa in ordine alla idoneità della documentazione prodromica al beneficio.
Il comportamento derogatorio assunto nel caso di specie dall’amministrazione finanziaria rispetto ai più volte richiamati principi di chiarezza, trasparenza, collaborazione e buona fede nei confronti del contribuente hanno legittimato quest’ultimo ad intraprendere un’azione giudiziale davanti al Giudice ordinario, al fine di ivi ottenere il ristoro delle maggiori somme richieste dall’ufficio del registro tramite la notifica dell’avviso di liquidazione, maggiori somme la cui richiesta poteva essere evitata nel caso in cui il contribuente avesse avuto contezza sulla esatta documentazione da esibire.
Non c’è dubbio, ad avviso di chi scrive, che nel caso di specie, si tratta di un’Ordinanza singolare non di poco conto, in con così come disposti dalla più volte richiamata L.n°212/2000, a dimostrazione che le molteplici e frequenti deroghe allo Statuto dei Diritti del contribuente qualche volta possono costare care all’amministrazione finanziaria.