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Ricostruzione induttiva del reddito imponibile

L’inattendibilità delle scritture contabili legittima l’utilizzo di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza


In caso di ricostruzione induttiva del reddito è ammesso il calcolo della percentuale di ricarico stabilita dall’esercente prendendo in considerazione solo un campione significativo di merci attraverso cui l’Ufficio può applicare la media semplice e non quella ponderata. Inoltre, l’inattendibilità complessiva delle scritture contabile determinata da omissione, falsità, incertezza nella loro tenuta legittima l’ufficio impositore all’accertamento induttivo del reddito imponibile fondato su presunzioni anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. E’ quanto ha disposto la Corte di Cassazione nella Sentenza N°7290 del 16 marzo 2020.Si tratta di una pronuncia in occasione della quale i Giudici di Palazzaccio focalizzano gli aspetti principali che contraddistinguono l’accertamento analitico extracontabile e quello induttivo puro, la cui differenza sostanziale, si concretizza nell’attendibilità o meno dei dati desumibili dalle scritture contabili vagliate dai verificatori per conto dell’Amministrazione finanziaria.


 

-Il caso:

L’agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione in sede di legittimità a seguito del deposito della sentenza della CTR Basilicata che accoglieva l’appello presentato dalla Curatela fallimentare in sede di rinvio ex art.394 cpc, annullando, pertanto, l’avviso di accertamento emesso e notificato dall’ufficio.

In particolare, ex ante l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento IRPEG ed ILOR con il quale era stato rideterminato il reddito della società riconducibile al periodo d’imposta 1992.

In particolare, il modus operandi dell’ufficio aveva necessitato nel caso di specie l’applicazione della ricostruzione induttiva della capacità reddituale della Srl in applicazione del’art.39, comma 2 del DPR 600/73 in considerazione delle evidenti irregolarità ed omissioni contabili con conseguente inattendibilità delle scritture contabili redatte della Srl.

Dopo avere espletato i due gradi di giudizio nel merito davanti alle Commissioni tributarie territorialmente competenti, la questione è stata posta al vaglio della Corte di Cassazione a seguito di ricorso presentato dall’ufficio impositore tramite l’Avvocatura Generale dello Stato.  In particolare, gli Ermellini in accoglimento delle ragioni mosse dall’Agenzia delle entrate rinviavano il giudizio alla CTR Basilicata che, a sua volta, dopo avere esaminato nuovamente gli aspetti della questione disponeva l’annullamento dell’atto impositivo riferito al periodo d’imposta 1992. Avverso la nuova sentenza della CTR Basilicata, l’Agenzia delle entrate presentava un nuovo ricorso per cassazione in cui evidenziava un unico motivo di doglianza: ossia, la violazione e falsa applicazione dell’art.39 comma 2 , let. d) del DPR 600/73 in relazione all’art.360 comma 1 n.3) cpc avendo il giudice di appello deciso senza uniformarsi ai principi generali enunciati dalla stessa Corte di Cassazione nel primo giudizio di legittimità, derogando la CTR ai principi generali che disciplinano l’onere della prova nonché la natura presuntiva della prova richiesta ex lege per l’accertamento induttivo. Pertanto, l’ufficio chiedeva la cassazione della sentenza con riaffermazione dei principi di diritto applicabili al caso di specie. Si costituiva nei termini di legge la Curatela della Srl che dopo avere eccepito l’inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di autosufficienza, nel merito, evidenziava la sua infondatezza con contestuale richiesta di rigetto.

 

 

-Il principio giurisprudenziale disposto dalla Corte di Cassazione nella Sentenza N°7290 del 16/03/2020

Preliminarmente, per esigenze di maggiore chiarezza è sicuramente rilevante in materia di accertamento induttivo analizzare le peculiarità principali che caratterizza questa tipologia di accertamento, a cui spesso l’Agenzia delle entrate deve necessariamente ricorre, allorquando, si trova a dovere esaminare scritture contabili tenute in modo irregolare o assolutamente omesse.

Infatti, se vogliamo, la differenza principale tra l’accertamento condotto con il metodo analitico extra contabile e quello effettuato con metodo induttivo cosiddetto puro è configurabile nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati desumibili dalle scritture contabili. In altre parole, la valenza probatoria in termini di attendibilità e congruenza dei dati desumibili dalle scritture contabili tenute dal contribuente, impone all’ufficio impositore la scelta del metodo induttivo; vale a dire, la modalità di ricostruzione necessaria della capacità reddituale del contribuente che non ha compilato correttamente e completamente le scritture contabili.

Nel primo caso, ossia, con l’accertamento analitico contabile l’incompletezza, la falsità o inesattezza dei dati indicati nelle scritture contabili, non consente comunque all’ufficio accertatore di prescindere dagli stessi, dovendo in tal caso l’Agenzia delle entrate soltanto provvedere, in fase di accertamento, a completare le lacune riscontrate e potendo, l’ufficio procedente, utilizzare comunque anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti di cui all’art.2729 cc. Diversamente, in caso di accertamento induttivo puro come la stesa denominazione suggerisce, le omissioni, le falsità e le inesattezze riscontrate dall’ufficio impositore nelle scritture contabili sono tali e tante da inficiarne l’attendibilità, anche minima; per cui, l’Agenzia delle entrate è legittimata a prescindere totalmente dalle risultanze del bilancio societario nonché dalle stessa scritture contabili assolutamente inutilizzabili per la quantificazione della capacità reddituale del contribuente. In questo caso, l’ufficio impositore nel determinare ex novo la capacità reddituale del contribuente per l’annualità considerata  può avvalersi di elementi meramente indiziari e, pertanto, privi dei requisiti previsti per la prova presuntiva dagli artt.2727 e 2729 cc.

In questa casistica specifica, ai sensi dell’art.39, comma 2 del DPR 600/1973 l’ufficio può desumere il reddito imponibile del contribuente prendendo in considerazione i dati e le notizie raccolte o di cui è venuta a conoscenza tra cui è fatta salva la possibilità di utilizzo della redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa accertata, ben potendo l’ufficio rideterminare la percentuale di ricarico sulla base dei dati concreti raccolti, integrare operazioni finalizzati tutti alla ricostruzione del volume d’affari riconducibile alla società accertata.

In altre parole, nell’accertamento induttivo cosiddetto puro l’assoluta inattendibilità e, pertanto, inutilizzabilità in termini probatori delle scritture contabili, attribuisce all’ufficio accertatore una maggiore possibilità di manovra potendo, lo stesso, ponderare ogni elemento utile che possa essere significativo nella ricostruzione della capacità reddituale del contribuente accertato.

Per le stese ragioni sopra descritte (inutilizzabilità assoluta dei dati desumibili dalle scritture contabili), l’Agenzia delle entrate è legittimata ad avvalersi delle presunzioni cosiddette super-semplici cioè  dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, implicando ciò l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente il quale avrà l’onere di dimostrare o la mancanza di produzione del reddito  per l’annualità accertata o che il reddito prodotto è inferiore rispetto a quello determinato induttivamente dall’ufficio.

Ora, l’esigenza di acquisire ed esaminare un campione significativo, e non la maggior parte o addirittura la totalità di merci commercializzate dal contribuente segna il confine tra l’accertamento induttivo di cui al richiamato art.39, comma 2 del Dpr 600/1973 e quello analitico induttivo previsto sempre dall’art.39, comma 1 dello stesso decreto con la differenza che cambia la qualità e pertanto la valenza probatoria degli indizi raccolti dall’ufficio nella ricostruzione induttiva del reddito imponibile.

Con riferimento al caso di specie, secondo i giudici di Palazzaccio aditi per la seconda volta in sede di legittimità, il giudice di appello della CTR ha negato la valenza probatoria al campione di prodotti attenzionati dall’Agenzia delle entrate finalizzato al calcolo del ricarico, ritenendo, il giudice di appello, esiguo il numero di merci presi a campione dall’ufficio accertatore rispetto a quelli commercializzati in totale dalla società. In quest’ottica, sempre il giudice della CTR ha ritenuto necessario il richiamo ad una percentuale media da cui non è possibile prescindere nel caso in cui si tratta di una vendita che ha ad oggetto una vastità di prodotti commercializzabili. Tale assunto ha giustificato pertanto l’inattendibilità della redditività pari al 3% come fissata dall’Agenzia delle entrate nella casistica in esame.

Rapportandosi alla pronuncia depositata in sede di gravame gli Ermellini in primis hanno censurato la sentenza di appello poiché in essa non si spiega perché il campione di merci presi in considerazione dall’ufficio è risultato poco significativo per il calcolo del ricarico applicabile. In altre parole, il giudice del gravame non ha offerto  secondo la Corte di Cassazione, alcuna spiegazione, ne anche minima, sulle ragioni da cui potere dedurre  la pochezza nonché l’irrilevanza dei prodotti presi in esame in sede di accertamento a fronte dell’intero parco merceologico commercializzato.

Il secondo motivo di censura posto dagli Ermellini alla sentenza di appello rinviene dalla precisazione che nel caso di specie trattandosi di accertamento induttivo puro è fatta salva la possibilità per l’ufficio accertatore di utilizzo di indizi che non devono avere necessariamente i requisiti della gravità, precisione e concordanza, potendo l’ufficio impositore effettuare il ricalcolo del reddito imponibile ma soprattutto della percentuale di ricarico attraverso l’utilizzo della media semplice e non di quella ponderale, e ciò non perché emerge dalla sentenza un riscontro oggettivo di tale affermazione, ma esclusivamente per una deduzione logica della pretesa non significatività dei beni commercializzati presi in esame dall’Agenzia delle entrate in sede di accertamento. La Corte di Cassazione ha evidenziato nella pronuncia in commento l’errato orientamento palesato dai giudici di appello che hanno ritenuto imprescindibile da parte dell’ufficio la raccolta di indizi con i caratteri della gravità, precisione e concordanza in deroga ai principi già espressi in altre sentenze dagli stessi Ermellini.

Nel caso di specie, l’ufficio era legittimato in considerazione della assoluta inattendibilità delle scritture contabili ad espletare l’accertamento induttivo puro che in quanto tale, secondo i principi sopra richiamati, fa salva la possibilità di utilizzo in sede di accertamento di indizi super semplici senza dunque i requisiti della gravità precisione e concordanza. Principio quest’ultimo non osservato dal giudice del gravame.