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Illegittima la presunzione sulla partecipazione degli utili extracontabili del socio in caso di annullamento dell’accertamento “principale” notificato alla società di capitali

L’accertamento operato  dall’Amministrazione finanziaria  nei confronti di una società a ristretta base azionaria ai fini Ires, Irap, addizionali e quello conseguenziale operato nei confronti  del socio, ai fini irpef costituiscono atti distinti e separati ma  sicuramente legati tra loro da un vincolo di pregiudizialità che non può essere disatteso dal Collegio tributario giudicante. Per cui, il sopravvenuto annullamento dell’avviso di accertamento emesso e notificato nei confronti della società di capitali a seguito di un sentenza che ha disposto sul merito della questione impositiva ( e non su vizi formali o procedurali), implica inevitabilmente l’infondatezza della pretesa impositiva contenuta nell’avviso di accertamento notificato nei confronti del singolo socio. E’ quanto ha disposto la Corte di Cassazione in concomitanza della  sentenza n°8652 del 16 marzo 2022. Nel caso di specie, i giudici di Palazzaccio hanno evidenziato la rilevanza e, pertanto, la pregiudizialità dell’avviso di accertamento cosiddetto “principale”  o “prodromico” notificato in capo alla Srl  a ristretta base azionaria poiché contenente i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria. Pertanto, i giudici di Palazzaccio dall’annullamento di quest’ultimo hanno fatto discendere un effetto pregiudicante sull’accertamento notificato  ex post a ciascun  socio appartenente alla Srl (Cass. Sez.5, Sen.33976 del 19/12/2019). Per certi versi, la conferma degli Ermellini in ordine alla configurabilità  di un  inevitabile vincolo di pregiudizialità che necessariamente  caratterizza  i due avvisi di accertamento conferma, a dispetto di un orientamento contrario  e costante della stessa  Corte di Cassazione, che nella casistica degli accertamenti notificati a società a ristretta base azionaria da cui l’AdE fa discendere conseguenzialmente l’accertamento nei confronti del singolo socio, è configurabile una doppia presunzione che, in quanto tale,  deroga espressamente il principio normativo di cui all’art.2727 cc. Deroga, quest’ultima,  sempre negata dagli Ermellini, ritenendo questi ultimi che, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria, gravante sul contribuente, in ordine al fatto che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti. Il ricorso  a tale presunzione secondo gl Ermellini non viola il divieto della cosiddetta “doppia presunzione “ poiché il fatto noto di cui all’art.2727 cc  sopra richiamato, non sarebbe costituito dalla sussistenza dei maggiori ricavi induttivamente accertati dall’ufficio impositore  nei confronti della società di capitali, bensì dalla ristrettezza della base sociale nonché dal vincolo solidaristico  che è  riconducibile al rapporto di parentele o affinità che spesso intercorre tra i soci appartenenti alla società e che contraddistinguono questa tipologia di società di capitali.


-Il caso

La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta che aveva accolto il ricorso presentato dal ricorrente  avverso l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti, per l’anno 2004, dall’Agenzia delle entrate, a titolo di reddito di partecipazione per una quota capitale del 33,33% nella  società di capitali  a ristretta base partecipativa. In particolare, il giudice tributario, in sede di gravame, evidenziava che l’avviso di accertamento “presupposto” emesso e notificato dall’AdE a carico della società di capitali, avente ad oggetto il reddito di impresa riferito al periodo d’imposta 2004, era stato annullato con la sentenza della Commissione tributaria provinciale;  per cui,  il giudice d’appello annullava conseguentemente  anche l’accertamento irpef  notificato al socio quale persona fisica, in considerazione del rapporto di pregiudizialità esistente tra i due atti imposditivi. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.  In particolare, con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate  ricorrente lamentava  la “violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, D.lgs. n. 546 del 1992”. In realtà, la sentenza pronunciata nella controversia avente ad oggetto l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non era passata in giudicato, ma era stata oggetto di impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate in sede di appello.  Con il secondo motivo di impugnazione l’Avvocatura lamentava la “nullità della sentenza ex articoli 36, secondo comma, del D.lgs. n. 546 del 1992, 132 c.p.c. e 118 disposizioni di attuazione c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. o in subordine omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.”. In particolare, secondo l’ufficio ricorrente il giudice d’appello  aveva  sostanzialmente omesso di motivare le ragioni della propria decisione, redigendo una motivazione  evidentemente apparente. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duoleva della “violazione e falsa applicazione degli articoli 38 e 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Invero, una volta accertati utili extrabilancio, la ristretta base azionaria, costituisce presunzione semplice idonea, anche di per sé sola, a far ritenere l’attribuzione pro quota ai soci. La società destinataria del ricorso per cassazione non si costituiva in sede di legittimità; per cui, la questione impositiva andava in decisione in contumacia della società di capitali.

 

Il principio giurisprudenziale espresso dalla Cassazione nella Sentenza n°8562 del 16 marzo 2022

La stessa Corte di Cassazione  con sentenze plurime  nn. 29878 del 2020, depositata il 30 dicembre 2020, 29355 del 2020 depositata il 23 dicembre 2020, 29356 del 2020 depositata il 23 dicembre 2020, e 29357 del 2020, depositata il 23 dicembre 2020 ha rigettato i ricorsi per cassazione che hanno visto  l’Agenzia delle entrate parte ricorrente evidenziando, gli Ermellini,  che l’Ufficio impositore  non aveva depositato in giudizio il processo verbale di constatazione con i relativi allegati, tra i quali, quello contenente le dichiarazioni rilasciate dagli acquirenti degli immobili. Pertanto, una volta venuto meno l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società in relazione agli utili extra contabili, avendo quest’ultimo valenza di atto impositivo presupposto poiché contenente i fatti costitutivi legittimanti l’obbligazione tributaria principale, inevitabilmente vengono  travolti  anche gli avvisi di accertamento emessi  e notificati nei confronti dei  singoli soci appartenenti alla società a ristretta base partecipativa.  La stessa  Corte di Cassazione, in più di una pronuncia, ha evidenziato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la validità dell’avviso di accertamento avente ad oggetto la ricostruzione induttiva dei ricavi non contabilizzati emesso nei confronti della società di capitali a ristretta base azionaria, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci di  eventuali utili extracontabili accertati; con la conseguenza che, l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato nei confronti della società con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti direttamente la questione di merito riconducibile alla pretesa tributaria, avendo l’avviso di accertamento principale carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento notificato al singolo socio che ipotizzi a carico del socio stesso, la percezione dei maggiori utili societari non dichiarati in bilancio. Tale valenza pregiudicante, non è altresì configurabile in caso  di annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla Srl  unicamente per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso); doglianze, queste ultime, che danno luogo ad un giudicato formale, ma non sostanziale, non essendo configurabile una pronuncia che revochi nel merito l’accertamento avente ad oggetto la pretesa impositiva vantata dall’ufficio  nei confronti della Srl (Cass. sez. 5, 19 gennaio 2021, n. 752).

In particolare, nella casistica da ultimo richiamata, il giudicato formale riconducibile ai giudizi di merito non può dirsi sufficiente per pregiudicare la legittimità dell’avviso di accertamento notificato nei confronti dei singoli soci.  Nella casistica posta al vaglio degli Ermellini che ha portato alla pronuncia in commento, la sentenza della CTR ha delegittimato nel merito la pretesa impositiva dell’ufficio, con conseguente annullamento dell’avviso di accertamento notificato nei confronti della Srl  e, quindi, con effetto pregiudicante del primo avviso di accertamento (principale) nei confronti del secondo (quello notificato nei confronti dei singoli soci). Trattasi, pertanto, di un giudicato sostanziale sopravvenuto  nel giudizio di gravame riferito all’avviso di accertamento “presupposto” o meglio “prodromico” con conseguente inevitabile annullamento della pretesa impositiva oggetto dell’accertamento notificato  ex post nei confronti dei soci persone fisiche.

 

 

– Osservazioni sul divieto della  “doppia presunzione” ex art.2727 cc

Come disposto dalla giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione in una miriade di pronunce la ridotta compagine sociale,  ossia, il numero esiguo di soci legati quasi sempre da un vincolo di parentela o affinità rappresenta, a tutti gli effetti, la chiave di volta che consente all’Amministrazione Finanziaria di vantare  in  sede di accertamento una presunzione in ordine alla distribuzione di utili non contabilizzati in bilanci in capo ai soci, facendo salva, pertanto, la possibilità per l’ufficio  impositore di recuperare le imposte da questi non versate (unitamente a sanzioni e interessi) ribaltando sui soci stessi l’onere della prova contraria o meglio l’onere di addurre sub judice argomentazioni tali da neutralizzare la presunzione dell’ufficio impositore. Ne consegue, che viene semplicisticamente delegato al contribuente il compito di produrre una prova complessa  non a caso denominata “probatio diabolica” finalizzata  a dimostrare al giudice tributario adito che non ci sono utili extracontabili distribuiti tra i soci.

Ebbene, è di tutta evidenza che per quanto  avallato da una giurisprudenza di legittimità costante, tale meccanismo operativo risulta, oltre che privo di qualsiasi ancoraggio normativo, anche assolutamente censurabile sotto il profilo della razionalità e del coordinamento con i principi generali del diritto sostanziale tributario. In particolare, non può essere disatteso la circostanza che la ristretta base azionaria che caratterizza alcune società di capitali venga assunta come fatto noto al fine di legittimare la presunzione dell’ufficio  impositore circa l’esistenza di un vincolo di complicità che avvince i partecipanti al sodalizio. Tale presunzione non può legittimare altra presunzione secondo la quale, con sufficiente probabilità, quegli utili sono stati effettivamente distribuiti ai soci,  e che,  la distribuzione degli utili extracontabili sia avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui li avrebbe prodotti la società e nella stessa proporzione della quota di partecipazione al capitale sociale.

In altre parole, la ricostruzione induttiva effettuata dall’ufficio in ordine alla esistenza di utili societari non contabilizzati configura indubbiamente una presunzione legale in quanto tale legittimante l’avviso di accertamento notificato alla società di capitali. Bene, tale presunzione di fatto è indubbiamente “funzionale” per  legittimare un’altra presunzione dell’ufficio secondo cui gli utili  extracontabili imputati alla società  e non dichiarati in bilancio se li siano distribuiti i soci tra loro. Tale assunto legittima l’avviso di accertamento notificato ai soci. Si tratta di un modus operandi che deroga espressamente il divieto della cosiddetta  “doppia presunzione” riconducibile alla lettura della previsione normativa di cui all’art.2727 cc. in cui è testualmente disposto: ”Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”.  Come già  più volte segnalato, secondo i giudici di Palazzaccio in caso di accertamenti emessi a società a ristretta base azionaria  e poi duplicati nei confronti di ciascun socio quale persona fisica, non  si concretizza alcuna deroga rispetto al “divieto della doppia presunzione” poiché gli Ermellini farebbero discendere il fatto noto nella ristretta base azionaria che caratterizza la Srl costituita da un numero esiguo di soci legati spesso tra loro da vincoli di parentela o affinità. Tale circostanza, legittimerebbe ex post la presunzione  che legittima gli avvisi di accertamento  emessi nei confronti di ciascun socio. Pertanto, secondo i giudici  della Corte di Cassazione, si tratterebbe di un iter in linea con il dettato normativo di cui al richiamato art.2727 cc.  Se dovessimo avvallare la tesi degli Ermellini un interrogativo sorge spontaneo; ci si chiede,  la ricostruzione induttiva che porta l’ufficio impositore alla individuazione di utili extra contabili che fine fa?

In realtà,  diversamente da quanto palesato dalla Corte di Cassazione in una miriade di pronunce è proprio la ricostruzione induttiva degli utili extracontabili imputati alla società di capitali che concretizza in toto la presunzione legale che legittima l’emissione dell’avviso di accertamento presupposto (quello notificato alla società di capitali). Del resto, la  stessa sentenza n°8562 del 16 marzo 2022 pronunciata dalla Corte di Cassazione che, come già segnalato, ha confermato il vincolo di pregiudizialità esistente tra i due avvisi di accertamento (quello principale notificato alla Srl e quello successivo notificato ai soci) confermando forse inconsapevolmente la tesi della “doppia presunzione” sempre negata dagli Ermellini.