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Prevale la funzione direzionale rispetto a quella pubblicitaria se la segnaletica è posta in un luogo non aperto al pubblico ma destinato ad una limitata categoria di soggetti

E’ quanto ha disposto la Commissione Tributaria Regionale della Puglia con la Sentenza N°3189 depositata il 06/11/2017 I Giudici tributari di appello hanno ritenuto prevalente la funzione direzionale rispetto a quella pubblicitaria riferita alle insegne e ai cassoni luminosi posti in un luogo non aperto al pubblico bensì limitato nel caso di specie ad una particolare categoria di soggetti titolari di partita IVA e, pertanto, in possesso di determinati requisiti rispetto ad un numero indiscriminato di soggetti. Nel caso di specie, il Collegio tributario pugliese ha ritenuto non configurabile il presupposto d’imposta di cui all’art.5 comma 1 del D.lgs.n°507/1993, ritenendo la segnaletica accertata meramente identificativa e pertanto solo d’ausilio rispetto all’utenza che accede  in un luogo non aperto a tutti bensì solo ad alcuni soggetti. Trattasi di insegne prive di una valenza pubblicitaria  poste all’interno di un luogo con caratteristiche e destinazione particolari che lo differenziano dai comuni centri commerciali. Sul punto,  tuttavia si è delineata una giurisprudenza di merito non certo univoca che non aiuta certo gli operatori del diritto ne tanto meno coloro che risultano destinatari della pretesa impositiva comunale.


 

-La normativa di riferimento- Il presupposto d’imposta:  L’art.5 comma 1 del D.lgs.n°507/1993

In sede  normativa  l’art.5, comma 1° del D.lgs.n°507/1993 dispone testualmente che “la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione  visive o acustiche diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile, è soggetta all’imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto”.

Dalla lettura testuale della previsione normativa di cui sopra (art.5, comma 1) si evince che è configurabile il presupposto d’imposta riferito al’ICP allorquando il messaggio pubblicitario rinviene da un’insegna, un cartello, un manifesto, una bandierina che risultano essere posti in “luoghi pubblici” o “aperti al pubblico”  ed, in quanto tali, visibili da un numero indeterminato di soggetti.

In altre parole, è possibile sostenere in base al dettato normativo sopra richiamato che la pubblicità soggetta all’imposta è quella che, effettuata in luoghi pubblici o aperti al pubblico, si rivolge inevitabilmente ad una “massa indeterminata” di soggetti  destinatari del messaggio pubblicitario–propagandistico a prescindere dalla loro espressa volontà.

Pertanto, “chiunque” senza effettuare una scelta esplicita, può diventare destinatario del messaggio pubblicitario–propagandistico rinveniente da un cartello, un’insegna, una bandierina.

A parere di chi scrive, rileva sicuramente fare chiarezza concettuale in ordine alla definizione più appropriata di “luogo pubblico” e di “luogo aperto al pubblico” a cui la lex specialis  di riferimento (D.lgs.n°507/1993) fa espresso richiamo subordinando proprio al luogo di ubicazione dei cartelli e delle insegne la debenza tributaria in questione. Ciò al fine di potere meglio configurare la differenza sostanziale che intercorre tra un luogo pubblico o aperto al pubblico ed un luogo privato.

Nessuna definizione in tal senso è configurabile nel Decreto di riferimento (D.lgs.n°507/1993) che disciplina l’imposta in questione per cui deve necessariamente farsi riferimento alla definizione concettuale rinveniente dalle norme di Pubblica Sicurezza nonché alle accezioni che riguardano lo ius in generale.

In particolare, nell’ambito del Diritto, il termine “pubblico” identifica un bene materiale o immateriale accessibile a tutte le persone senza condizioni, in opposizione a ciò che è di proprietà di un privato che, in quanto tale, è mantenuto e protetto a servizio e godimento della collettività, senza l’ingerenza di altri interessi privati.

Pertanto, per definizione può dirsi “luogo pubblicoquello in cui può accedere chiunque senza alcuna particolare formalità, essendo quello il suo scopo ed utilizzo normale e prevalente (ad esempio: piazze, giardini pubblici, spiagge demaniali, ecc.). Appare chiaro, pertanto, che, per definizione, sono luoghi pubblici quelli generalmente di proprietà del Demanio dello Stato, in quanto tali, accessibili  a chiunque lo voglia, senza limitazioni di sorta.

Per definizione,  in ambito giuridico, deve intendersi invece “luogo aperto al pubblico” quello spazio in cui “chiunque può accedere, limitatamente all’osservanza di alcune regole stabilite dal legittimo proprietario” (ad esempio: l’orario di apertura, il pagamento di un biglietto d’ingresso, l’obbligo di iscrizione ad un’associazione, ecc.).

Ne deriva che sono luoghi aperti al pubblico  gli spazi o le aree di proprietà privata  ai quali è consentito l’accesso solo previa osservanza delle condizioni imposte dal legittimo proprietario. Sono luoghi aperti al pubblico per eccellenza, per esempio, i cinema, i teatri, le biblioteche, i bar, le birrerie e i locali pubblici in generale in cui possono farvi accesso un numero indeterminato ed indiscriminato di soggetti, sia pure rispettando essi determinate condizioni.

La stessa Corte di Cassazione in concomitanza della Sentenza n°22572 del 08/09/2008 sulla questione ha precisato espressamente che “in tema di imposta sulla pubblicità che si applica ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n°639, art.6 allorquando i mezzi pubblicitari siano esposti o effettuati in luoghi pubblici o aperti al pubblico, o, comunque da tali luoghi percepibili, il presupposto dell’imponibilità deve essere ricercato nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari che diventano tali solo perché vengono a trovarsi in quel luogo determinato”.

In considerazione di quanto sopra, è di tutta evidenza che per definizione inversa non sono assoggettabili ad imposta quelle insegne esposte in aree private e dunque destinate ad un numero determinato, circoscritto, discriminato, specifico di soggetti o, comunque, ad una determinata categoria di persone quali clienti particolari, soci con tessera personale, ecc. (Risoluzione Ministeriale Prot. n°243 del 23/09/1995), cosa che inevitabilmente esclude il concetto di chiunque ravvisabile in entrambe le definizioni di luogo pubblico e luogo aperto al pubblico sopra richiamate.

-La Sentenza N°3189 depositata il 06/11/2017  della Commissione Tributaria Regionale della Puglia

Con riferimento alla casistica specifica posta al vaglio dei Giudici tributari d’appello  è emersa  in sede di giudicato la non configurabilità delle condizioni a cui il richiamato art.5 comma 1 del D.lgs.n°507/1993 subordina il presupposto d’imposta.

In particolare, secondo  il Collegio tributario pugliese le targhe monofacciali e bifacciali nonché i cartelli mono e bifacciali collocati all’interno del centro commerciale all’ingrosso così denominato non esplicano di fatto alcun messaggio pubblicitario, trattandosi di “segnali d’indicazione aventi come unico scopo quello di fornire al soggetto autorizzato all’ingresso agevoli indicazioni sulla direttiva di marcia da adottare per raggiungere il luogo desiderato  in cui è situato il capannone”,

All’interno del comprensorio che delimita l’area del Centro Commerciale di cui si tratta vi sono ben ventidue Stecche all’interno di ciascuna delle quali sono presenti ventiquattro Moduli dislocati su di un’area che si estende su una superficie di circa 100.000 metri quadrati – tra area coperta e area scoperta; ogni modulo è contraddistinto all’interno del lotto/stecca da un numero progressivo posto proprio sul cassone luminoso monofacciale collocato sopra la porta d’ingresso di ciascun capannone.  La presenza di un numero progressivo posto sul cassone luminoso ha quale unica finalità quella di identificare il Modulo specifico all’interno del Lotto in cui si trova la sede operativa di ciascuna Società.

Pertanto, con riferimento alle insegne in ordine alle quali il Comune ha richiesto il pagamento dell’imposta è di tutta evidenza, secondo i Giudici tributari di secondo grado, che le stesse hanno una finalità “segnaletica-direzionale” che prevale rispetto alla funzione propagandistica e/o pubblicitaria con  inevitabilmente pregiudizio in ordine alla configurabilità  stessa del presupposto d’imposta di cui al più volte richiamato art.5, comma 1 del D.lgs.n°507/1993.

 

In altre parole, la Commissione tributaria regionale pugliese ha giustificato nel caso di specie  la non debenza ICP in considerazione della particolarità del centro commerciale all’ingrosso entro il quale risultavano installate le insegne e i cassoni.

In particolare, diversamente da quanto avviene per i normali centri commerciali ai quali può accedere una massa indiscriminata di soggetti  nel caso di specie il centro commerciale denominato volutamente  “all’ingrosso” era fruibile solo  da una limitata categoria di soggetti (titolari di partita IVA) pregiudicando ciò la condizione preliminare a cui il legislatore ha strettamente subordinata la configurabilità del presupposto d’imposta come sopra richiamato.

E’ apparsa pertanto prevalente in sede di gravame  la funzione segnalatoria  della cartellonistica accertata dal comune rispetto a quella pubblicitaria non configurabile nel caso de quo.

Sulla questione ICP di cui si tratta è tuttavia configurabile una giurisprudenza di merito non certo uniforme  che non aiuta certo gli operatori del diritto e non meno i destinatari stessi della pretesa impostiva comunale.